Tanti anni fa, nel picco più alto della mia curva di passione per la capoeira, partecipai in un lasso di tempo troppo breve, a molti più eventi di quanto il mio fisico (e i miei impegni di vita) potessero e dovessero sopportare. Quella fase bulimica che probabilmente molti hanno vissuto, solitamente dopo il raggiungimento di gradi più importanti e con il carico di nuove responsabilità (nel mio caso dopo la corda da instrutor)…fase in cui tutto era buono purché fosse capoeira, fase in cui la quantità era di molto più rilevante della qualità, in cui roda roda roda, famo famo famo.
Al termine di questo anno tumultuoso mi ritrovai pieno di acciacchi (da allora inseparabili compagni di viaggio), svuotato dalle energie e tutt’altro che soddisfatto. La passione era sempre lì. Ero pieno di domande, con lo stesso desiderio di sempre di nuotare in questo mare, ma sentivo di dover anche prestare più attenzione a ciò che avevo dentro. Sentivo di dover essere più io, centrarmi e rivedere il percorso, perché quello che vivevo era molto più simile a un “naufragare” senza direzione né scopo.
In quei giorni mi ritrovai a scrivere queste considerazioni in una forma che lì per lì mi venne automatica, buttai giù una bozza di quello che per me sarebbe stato l’evento ideale al quale avrei davvero voluto partecipare.
Immaginai ogni dettaglio, ragionai su quelli che per me dovevano essere gli ingredienti fondamentali, cosa mettere e cosa togliere dal calderone affinché la mistura fosse la più invitante possibile. Mi accorsi ad esempio che “togliere”, “misurare”, “centellinare” erano passaggi fondamentali e nuovi per me. Mi accorsi che l’energia, come il sapore di una pietanza raffinata, doveva arrivare a tempo debito, alla fine di un viaggio suggestivo e stimolante, in cui vicendevolmente si guida e ci si lascia guidare.
Perché la capoeira è un’arte di gruppo. Un gioco di squadra. E’ liberazione, che ne è madre e scopo ultimo. E’ un luogo in cui non è immaginabile schematizzare troppo, tracciare dettami al di fuori di quelli che il buonsenso consente, perché al suo interno si creano percorsi personalizzati e diversi, caso per caso, perché si creano artisti unici, perché la meta, alla fine della strada, non è mai replica di niente ma trionfo di unicità.
Il Tresondas nasce qui.
Nell’esigenza, oggi sempre più condivisa, di restituire strumenti e stimoli, di fornire risposte a nuovi quesiti, per una crescita, matura, individuale e corale, a chi sceglie la Capoeira per esprimere se stesso.
TALEBANO
“…ma se io riesco a comunicare che quello che sto cantando è una cosa per me importante, in roda tutti sentiranno la differenza…”